Jacob si spinse attraverso il sottobosco, con il respiro accelerato mentre l’abbaiare frenetico di Bernie lo guidava in avanti. Il cane non aveva mai interrotto la routine in questo modo, non si era mai lanciato al guinzaglio nell’oscurità dell’ignoto. C’era qualcosa di sbagliato, di profondamente sbagliato, e la minacciosa immobilità della foresta non faceva che accrescere l’inquietudine di Jacob.
I rami si aggrapparono alle braccia di Jacob mentre si dirigeva a forza verso la radura davanti a lui. Lì Bernie era rigido, con la struttura tesa e la coda bassa. Ora era in silenzio, con lo sguardo fisso su qualcosa al di là degli alberi. Un brivido salì lungo la schiena di Jacob, che si avvicinò con cautela.
Gli occhi di Jacob seguirono la linea di vista di Bernie e il cuore gli sbatté contro le costole. Appena oltre la radura, la foresta sembrava più scura, più pesante, come se nascondesse qualcosa che non dovrebbe esserci. Ciò che Jacob vide dopo fece ondeggiare il terreno sotto di lui, il peso di un pericolo invisibile che si faceva sentire.
Jacob era un uomo di mezza età che viveva in un piccolo cottage alla periferia di una città di montagna. Sebbene fosse cresciuto nel caos di una metropoli tentacolare, il sereno isolamento di questa piccola città lo aveva attirato qui una decina di anni fa.
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Per dieci anni, Jacob ha condiviso il suo rifugio isolato con Bernie, il cane randagio che aveva trovato tremante sotto il portico il giorno in cui aveva comprato la casa. Il legame che avevano creato era indissolubile, forgiato nel silenzio e nella lealtà, una compagnia salda come la foresta che li circondava.
Ogni giorno Jacob trascorreva le sue ore insegnando matematica agli studenti delle scuole superiori della città. Il ritorno a casa era un rituale a lui caro: Bernie lo aspettava sempre sulla porta, con la coda scodinzolante, ansioso di fare la passeggiata serale. Era una gioia semplice, radicata e familiare, un contrappeso alle esigenze della giornata.
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Le loro passeggiate seguivano un percorso familiare, intrecciando sentieri ammantati di pini imponenti e morbide macchie di luce dorata. Mentre il mondo si acquietava intorno a loro, Jacob lasciò che i suoi pensieri vagassero, il ritmo dei passi di Bernie accanto a lui era una costante confortante. Era una serata come tante, o almeno così sembrava.
Jacob aprì la porta d’ingresso e fu accolto dalla coda scodinzolante e dagli occhi impazienti di Bernie. “Bene, ragazzo, andiamo”, disse, agganciando il guinzaglio mentre Bernie danzava eccitato. Con il leggero profumo di pino che aleggiava nell’aria, entrarono nel fresco abbraccio della sera.
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Il percorso li portò lungo il margine della foresta, dove i fiori selvatici punteggiavano il bordo erboso con vibranti gialli e viola. Jacob fece un respiro profondo, assaporando il profumo frizzante del pino che si mescolava alla lieve dolcezza dei fiori.
Bernie trottava davanti a sé, con un’andatura vivace e decisa. Ogni tanto si fermava per annusare il terreno o per dare una zampata alla terra morbida, guidato dal suo istinto. Jacob lasciò che i suoi pensieri andassero alla deriva, i suoi passi al ritmo dello scricchiolio delle foglie sotto i piedi. Tutto sembrava come dovrebbe: tranquillo, ordinario, indisturbato.
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Ma poi Bernie si bloccò. Un basso ringhio rimbombò dal suo petto, strappando Jacob alle sue fantasticherie. Le orecchie del cane si drizzarono, gli occhi si fissarono sul margine oscuro della foresta. Jacob seguì lo sguardo di Bernie, strizzando gli occhi nell’ombra. Non vide nulla, solo le deboli sagome degli alberi che ondeggiavano nella brezza.
“Andiamo, Bernie”, mormorò Jacob, tirando delicatamente il guinzaglio, con un brivido di inquietudine che gli pizzicava la calma. Ma prima che potesse condurli a casa, Bernie scattò. Il guinzaglio si strappò dalle mani di Jacob mentre il cane si lanciava nella foresta e la sua forza improvvisa fece cadere Jacob a terra, con il cuore che batteva all’impazzata.
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“Bernie, fermati!” Jacob gridò, cercando di rimettersi in piedi, ma il cane era già una macchia di movimento, svanendo nel folto del sottobosco. Il guinzaglio si trascinò dietro di lui, impigliandosi nei rami mentre spariva nel bosco.
Il cuore di Jacob batteva all’impazzata. Rimase immobile per un momento, combattuto tra il richiamo e l’improvviso timore che qualsiasi cosa avesse attirato l’attenzione di Bernie potesse non essere qualcosa che voleva affrontare. Jacob esitava, ogni istinto lo spingeva a tornare indietro, a tornare a casa e a chiedere aiuto.
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Ma il pensiero di Bernie, il fedele Bernie, là fuori da solo, lo spinse ad andare avanti. Afferrò un bastone vicino per consolarsi e si addentrò con cautela nella foresta. Il sentiero tranquillo che avevano percorso tante volte ora sembrava estraneo, il silenzio pesante, rotto solo dal suono lontano dell’abbaiare frenetico di Bernie.
Jacob si immerse nella foresta, guidato solo dai lontani latrati di Bernie. Si spinse tra arbusti e cespugli, i rami ruvidi gli impigliavano la giacca e gli graffiavano le braccia. La foresta qui era più fitta di quanto avesse mai osato avventurarsi. Ogni passo era cauto, ma la sua determinazione a trovare Bernie aveva la meglio sulla paura.
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Il suono dell’abbaiare di Bernie cessò improvvisamente, sostituito da un silenzio inquietante. L’immobilità era soffocante, rotta solo dal fruscio delle foglie sotto gli stivali di Jacob. Il cuore gli batteva forte, mentre l’assenza della voce di Bernie gli faceva saltare i nervi. Accelerò il passo, seguendo le deboli impronte delle zampe sul terreno morbido.
Raggiunta una piccola radura, Jacob si fermò. Lì, al centro, stava Bernie, rigido e immobile, con lo sguardo fisso su qualcosa davanti a sé. La coda del cane era bassa, il suo linguaggio corporeo attento ma silenzioso. Jacob ebbe il fiatone quando si avvicinò, seguendo con lo sguardo la linea visiva di Bernie.
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E poi lo vide. Un orso. Massiccio e imponente, la sua pelliccia scura si increspava mentre si spostava leggermente, fissandoli. Jacob si bloccò, con la mente che correva. Aveva letto degli orsi, di quanto potessero essere pericolosi e imprevedibili, ma niente di tutto ciò lo aveva preparato alla paura cruda che ora lo attanagliava.
Bernie non si mosse, il suo corpo era teso e incrollabile. Jacob voleva afferrarlo, fuggire, ma le sue gambe sembravano di piombo. L’orso fece un passo avanti, la sua mole fece tremare il terreno. Jacob fu preso dal panico e istintivamente tirò il guinzaglio di Bernie, mettendosi tra il cane e la bestia.
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Rimase lì, con il cuore che batteva all’impazzata, stringendo forte il guinzaglio di Bernie. Sapeva che correre sarebbe stato inutile: gli orsi erano veloci, più veloci di quanto lui potesse mai sperare di essere. Si tenne pronto per il peggio, con l’istinto primordiale di proteggere Bernie che aveva la meglio sul suo terrore.
L’orso si mosse di nuovo, questa volta più vicino. Jacob strinse i pugni, ogni muscolo del suo corpo era teso dalla paura. Ma poi l’orso fece qualcosa che Jacob non poteva prevedere. Si fermò proprio davanti a lui e la sua zampa massiccia si allungò per toccargli la gamba, con delicatezza, quasi con timidezza.
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Il respiro di Jacob si fece affannoso, la confusione si mescolò alla paura. Il tocco dell’orso non era aggressivo, ma cauto, quasi deliberato. Rimase congelato, incerto se indietreggiare o rimanere immobile. Anche Bernie sembrò percepire la stranezza della situazione, rimanendo calmo ma vigile.
L’orso abbassò la zampa e il suo sguardo incontrò quello di Jacob. C’era qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che non era furia selvaggia o aggressività. La paura di Jacob vacillò, sostituita da un guizzo di curiosità. Rimase radicato, con l’istinto che gli urlava di fuggire, ma con la mente che non voleva infrangere il fragile momento.
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La foresta, prima così silenziosa, sembrava trattenere il respiro. Jacob abbassò lo sguardo su Bernie, che stava al suo fianco e che ora scodinzolava debolmente. Qualunque fosse l’incontro, non era quello che si aspettava. L’orso, incredibilmente vicino, girò leggermente la testa, come se aspettasse qualcosa da lui.
Questo gesto inaspettato gli sembrò un messaggio silenzioso che attraversava la divisione delle specie. Il tocco dell’orso era delicato, come se volesse condividere con Jacob qualcosa di profondo senza pronunciare una sola parola. Il comportamento gentile dell’orso era in contrasto con le storie di ferocia che Jacob aveva sentito.
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L’orso girò delicatamente la testa verso la foresta e tornò a guardare Jacob, come se cercasse di comunicare qualcosa. Jacob rimase immobile, incapace di capire il significato di quel gesto. L’orso avanzò di qualche passo, poi si fermò e girò la testa per guardarlo.
Sembrava quasi intenzionale, come se l’orso lo invitasse a seguirlo. A ogni pausa, aspettava pazientemente, con lo sguardo fermo e in attesa, come se avesse in mente qualche scopo o percorso non dichiarato che sperava lui condividesse.
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Gli occhi dell’orso si fissarono su quelli di Jacob, che ebbe un tuffo al cuore per la paura. Era faccia a faccia con una creatura che poteva porre fine alla sua vita in pochi secondi. Ogni istinto gli urlava di correre, di afferrare Bernie e di scappare verso la sicurezza del suo cottage.
Ma Jacob non riusciva a muoversi. Il suo corpo era bloccato sul posto, bloccato tra l’impulso primordiale di fuggire e la bizzarra attrazione dello sguardo dell’orso. Afferrò con forza il guinzaglio di Bernie, con il respiro corto, cercando di riflettere sul panico crescente. E poi la vide: la zampa dell’orso.
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Un profondo squarcio segnava la zampa posteriore dell’orso, i bordi erano crudi e sanguinanti. La paura di Jacob si trasformò per un attimo in qualcosa di più complesso: pietà. L’orso non lo stava inseguendo: zoppicava, ferito e vulnerabile. La bocca era piena di tagli, come se avesse lottato per la vita.
I pensieri di Jacob si scontrarono: doveva scappare ora, mentre l’orso esitava, o stava davvero cercando il suo aiuto? Non aveva senso, niente di tutto ciò. Ma la tristezza negli occhi dell’orso parlava più forte della logica, placando il terrore a sufficienza perché Jacob potesse agire.
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Tremando, si alzò da terra e prese il telefono. Le dita gli tremavano mentre digitava un messaggio frettoloso a un collega: “Qualcosa di strano. Un orso ferito mi ha portato più in profondità nella foresta. Se non mi faccio vivo presto, mandate aiuto” Premette invio e si girò verso Bernie.
“Vai, Bernie”, disse Jacob, inginocchiandosi per incontrare gli occhi ansiosi del cane. “Vai alla stazione di polizia. Chiedi aiuto. Se ti presenti sapranno che sono io” La sua voce si incrinò, ma si impose un tono calmo. Bernie esitò, mugolando sommessamente, ma Jacob indicò con decisione il sentiero.
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Bernie abbaiò una volta, poi scattò nell’ombra, la sua lealtà superò l’esitazione. Jacob rimase a guardare finché il cane non scomparve, con il petto che gli si stringeva al pensiero di aver mandato Bernie da solo. Ma ora c’erano solo lui e l’orso.
L’orso fece qualche passo zoppicante, fermandosi a guardare Jacob con un’urgenza che non poteva essere ignorata. I suoi movimenti erano lenti, deliberati e pieni di dolore. Sfidando ogni briciolo di istinto di sopravvivenza, Jacob lo seguì. Le pulsazioni gli rimbombavano nelle orecchie mentre si addentrava nella foresta.
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I rami gli impigliavano i vestiti e il terreno diventava irregolare sotto i suoi stivali. La luce che si affievoliva dipingeva tutto di sfumature grigie, mentre gli alberi torreggianti formavano un baldacchino minaccioso. L’orso avanzava, l’andatura faticosa e le pause occasionali rivelavano la sua stanchezza.
Jacob non poteva ignorare l’assurdità della sua situazione: stava seguendo un orso selvatico, nel profondo della foresta, guidato solo dai suoi passi zoppicanti e dagli sguardi imploranti. Ogni pensiero logico gli diceva di tornare indietro, ma era già troppo in profondità. Tornare indietro ora sembrava impossibile.
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L’orso rallentò quando si avvicinarono a una radura, con movimenti deliberati ma tesi. Jacob rimase qualche passo indietro, con gli occhi che scrutavano nervosamente il bosco in ombra. Poi l’orso si fermò bruscamente, la sua testa massiccia si girò verso qualcosa nascosto dietro un albero antico e folto. Il suo sguardo era acuto e inflessibile.
Combattuto tra il rimanere nascosto e lo scoprire l’ignoto, si avvicinò, spinto dal fascino di assistere a qualcosa di straordinario. La mente di Jacob ronzava di domande. Perché l’orso l’aveva condotta in quel punto esatto della natura?
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Con grande sorpresa, Jacob trovò un campeggio nella radura. Qualcuno era stato lì di recente: c’erano un falò e una tenda, che facevano pensare a un’attività umana recente. Questa scoperta fu allo stesso tempo un sollievo e un rompicapo, che si aggiungeva al mistero di chi fosse stato qui, così in profondità nella foresta, e perché.
Esplorando il campeggio abbandonato, Jacob notò che la tenda era stata lasciata aperta in tutta fretta. Gli attrezzi sparsi e l’assenza di tracce del campeggiatore gli fecero chiedere perché se ne fossero andati così all’improvviso. La sua curiosità si è acuita quando ha visto attrezzature costose e macchine fotografiche gettate a terra.
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Il campeggio era in disordine, i vestiti e le provviste sparsi come se fossero stati lasciati in fretta e furia. Jacob fissò il caos, ogni oggetto alludeva a una storia che non riusciva a mettere insieme. Mentre Jacob era impegnato a cercare di capire cosa potesse essere successo al campeggio, improvvisamente sentì un basso grugnito alle sue spalle.
L’orso stava sbuffando e artigliando il terreno vicino alla tenda. Jacob decise di andare a controllare cosa avesse attirato l’attenzione dell’orso. Mentre dava un’occhiata al terreno, la mano di Jacob sfiorò qualcosa di insolito: un vecchio diario logoro, sepolto sotto gli aghi di pino.
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Sulla copertina in pelle era impresso un orso, che lasciava intendere i segreti contenuti all’interno. Sembrava fuori posto eppure era intrigante, importante, e lo spingeva a scoprirne il contenuto. Aprendo il diario, Jacob fu accolto da una scrittura vivace che descriveva i dettagli del viaggio di un viaggiatore nella foresta.
Lo scrittore era affascinato dagli strani suoni della foresta oscura, ogni rumore suscitava qualcosa di profondo in lui. Jacob notò che gli schizzi del diario erano cambiati, ora erano incentrati sugli orsi, ma non erano disegni normali.
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Le annotazioni del diario divennero più dettagliate, descrivendo gli strani comportamenti degli orsi e la loro inquietante presenza nella foresta. Il fascino dello scrittore per questi animali diventa oscuro, le sue parole sono piene di meraviglia e paura.
Man mano che la storia proseguiva, lo scrittore diventava ossessionato dalla ricerca di un leggendario cucciolo di orso bianco, che si diceva vivesse nelle zone più oscure della foresta. Quella che era iniziata come una ricerca di scoperta si trasformò in una pericolosa ossessione, l’eccitazione si trasformò in una caccia senza tregua.
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L’ultima annotazione del diario, che descrive il suo primo avvistamento del mitico cucciolo, è caratterizzata da un’eccitazione febbrile. L’annotazione lo definiva “il mito in carne e ossa” e la calligrafia sembrava vibrare di eccitazione. Questo momento segnò una svolta nella sua grande avventura.
Man mano che le annotazioni si susseguivano, il viaggiatore descriveva in dettaglio i suoi piani meticolosi per catturare il cucciolo utilizzando esche e trappole. Reti, telecamere e sedativi erano già pronti, rivelando una strategia accuratamente studiata. La sua ricerca del successo personale metteva in secondo piano qualsiasi apprezzamento per la creatura o per il suo habitat.
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Il cuore di Jacob batteva forte mentre sfogliava le pagine del diario. Disegni di gabbie e appunti sulle trappole mostravano la volontà ossessiva del viaggiatore di catturare il cucciolo ad ogni costo. Il diario rivelava l’inquietante piano del viaggiatore, senza alcun riguardo per la sicurezza del cucciolo.
Jacob provò un misto di disgusto e determinazione. Stringendo il diario, sapeva di dover agire per fermare questo atto pericoloso. Jacob sfogliò il diario con urgenza, con gli occhi che scrutavano le mappe e gli scarabocchi alla ricerca di qualsiasi indizio sulla posizione delle trappole o sull’ultimo luogo conosciuto del cucciolo.
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Le dita di Jacob si bloccarono su una pagina che raffigurava una roccia gigantesca, i cui bordi frastagliati erano disegnati con minuzia di particolari. Gli appunti del viaggiatore accanto ad essa descrivevano il luogo come il fulcro delle sue trappole, un luogo in cui le tracce di profumo avrebbero attirato il mitico cucciolo di orso bianco in una trappola.
Jacob gettò il diario a terra per la frustrazione, con il respiro irregolare mentre scrutava la foresta intorno a lui. La radura non rivelava nulla che assomigliasse a una pista odorosa o a un sentiero. Si era già fatto buio e la disperazione lo attanagliava. Se le trappole erano attive, la vita del cucciolo era appesa a un filo.
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Voltandosi verso l’orso, Jacob provò una strana ondata di speranza. “Devi aiutarmi”, disse ad alta voce, con la voce tremante. Fece un gesto verso gli alberi circostanti. “Puoi fiutarlo? Puoi condurmi alla roccia?” Era assurdo, supplicare un animale selvatico, ma non aveva un’idea migliore.
Con suo grande stupore, l’orso si mosse. Abbassò il naso a terra, annusando la terra e gli alberi vicini con deliberata attenzione. Il cuore di Jacob batteva forte mentre l’orso cominciava a camminare, seguendo una traccia invisibile che Jacob non riusciva a individuare. L’orso si fermò di tanto in tanto, annusando l’aria prima di proseguire lungo uno stretto sentiero.
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Jacob afferrò rapidamente un ramo spesso da terra, stringendolo con forza. Non era molto, ma lo faceva sentire un po’ meno indifeso. Si rafforzò, ogni passo era carico di incertezza. La foresta si faceva più scura intorno a loro, l’aria era densa del profumo di terra umida e di pino.
Il sentiero era stretto e tortuoso, i rami artigliavano le braccia di Jacob che cercava di tenere il passo dell’orso. Il rumore di ramoscelli che si spezzano e di foglie che scricchiolano riempiva il silenzio, amplificando il suo senso di disagio. Strinse più forte la sua arma di fortuna, con le nocche bianche.
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I minuti si allungarono fino a sembrare ore, mentre l’orso lo conduceva sempre più in profondità nella foresta. All’improvviso, gli alberi si diradarono e Jacob individuò la sagoma inconfondibile della roccia gigante. Si stagliava davanti a lui, con la sua superficie frastagliata parzialmente nascosta dal fitto fogliame. Il respiro gli si bloccò in gola.
L’orso si fermò ai margini della radura, annusando di nuovo l’aria. Jacob esitò, scrutando l’area alla ricerca di segni di trappole. I suoi occhi scrutarono il terreno, alla ricerca di qualsiasi disturbo nella terra. Il pensiero del cucciolo di orso bianco in pericolo lo spinse ad andare avanti.
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Il debole odore di qualcosa di affilato e metallico gli arrivò al naso: un’esca, capì. Le trappole erano vicine. Il battito di Jacob si accelerò, l’adrenalina gli inondò le vene mentre si avvicinava alla roccia. Ogni istinto gli diceva che il pericolo era vicino, ma non poteva fermarsi ora.
Jacob si avvicinò alla roccia gigante, stringendo la presa sul ramo mentre pungolava cautamente il terreno prima di ogni passo. Scrutò l’area, con gli occhi che scrutavano la terra alla ricerca di eventuali segni di trappole. Ogni passo era attento, deliberato, mentre lottava per mantenere il respiro regolare.
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Raggiunta la roccia, Jacob sbirciò giù e sentì lo stomaco torcersi. Un cucciolo di orso bianco era intrappolato in una gabbia in fondo a una trappola, con il corpicino raggomitolato su se stesso. Il cucciolo piagnucolava sommessamente, i suoi movimenti erano deboli, la sua pelliccia candida era macchiata di sporco e sangue.
La vista peggiorava. Nelle vicinanze, altri orsi erano finiti nelle trappole: alcuni intrappolati in ganasce d’acciaio, altri confinati in gabbie. Le loro ferite erano visibili, le loro lotte inutili. Il cuore di Jacob ebbe un sussulto, un’ondata di nausea lo investì quando la crudeltà della scena lo colpì come un colpo.
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Cadendo in ginocchio, Jacob raggiunse la trappola più vicina, con le mani che gli tremavano nel tentativo di aprirla. I meccanismi erano pesanti e ben fissati, progettati per resistere anche alla forza di questi potenti animali. La frustrazione aumentava man mano che i suoi sforzi si rivelavano inutili.
Proprio in quel momento, un rumore squarciò la quiete: un lontano mormorio di voci e lo scricchiolio di stivali sulle foglie. Jacob si bloccò e la sua testa scattò verso il suono. Il viaggiatore. Stava arrivando e non era solo. L’urgenza di agire si scontrò con una paura paralizzante.
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Jacob si rannicchiò rapidamente in una macchia di cespugli, il terreno sotto di lui era ricoperto di fango. Il suo piede scivolò e cadde con un forte squelch che infranse il silenzio. Il rumore risuonò come un faro e, quando alzò lo sguardo, la testa del viaggiatore si girò bruscamente nella sua direzione.
Gli occhi del viaggiatore si fissarono su Jacob e il cambiamento della sua espressione fu raggelante. La sorpresa tremolò per un breve momento, prima di essere sostituita da qualcosa di più oscuro: un calcolo inquietante, come se stesse ricostruendo esattamente il motivo per cui Jacob era lì. Il sospetto lasciò il posto a una fredda intenzione.
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Il cuore di Jacob batteva forte quando il viaggiatore fece cenno alla sua squadra. I soldati avanzarono con precisione, puntando le armi verso Jacob. La voce del viaggiatore era bassa e autoritaria, il suo tono era minaccioso. “Bene, bene. Sembra che abbiamo un ospite inatteso”
La paura che attanagliava Jacob non era mai stata provata prima. Il suo corpo tremava, il polso gli rimbombava nelle orecchie. Il bagliore acuto delle armi era impossibile da ignorare. Ogni istinto di sopravvivenza gli urlava di scappare, ma lui era radicato sul posto, paralizzato dal terrore.
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Il viaggiatore fece un altro passo avanti, con uno sguardo freddo e implacabile. “Non sei qui per caso”, disse, la sua voce tagliò il silenzio teso. “Allora dimmi: cosa speravi di ottenere esattamente?” Il respiro di Jacob si fece affannoso mentre cercava di formulare le parole, la sua mente correva alla ricerca di una via d’uscita.
Jacob barcollò in piedi, aggrappandosi allo spesso ramo come a un’ancora di salvezza. La sua voce si incrinò per la cruda emozione mentre urlava: “Non potete continuare a fare del male a questi animali! Non meritano questo!” Sollevò il ramo verso il viaggiatore, con le mani che gli tremavano ma con una determinazione incrollabile.
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Il viaggiatore emise una risata crudele, un suono beffardo che riecheggiò nella radura. “Vuoi fermarmi con questo?”, sogghignò, facendo un gesto verso il ramo. “Patetico. Hai appena firmato la tua condanna a morte, sciocco. Pensi di uscire vivo da qui?”
Le parole del viaggiatore fecero correre un brivido lungo la schiena di Jacob, che però non abbassò il ramo. Rimase in piedi, con il cuore che batteva all’impazzata e il peso della situazione che lo schiacciava. Il viaggiatore puntò la sua arma contro Jacob, mentre la sua squadra si avvicinava, il loro intento era chiaro come il freddo acciaio nelle loro mani.
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Ma prima che il viaggiatore potesse sparare, la foresta esplose di rumori: clacson che squillavano, luci che lampeggiavano tra gli alberi e i latrati frenetici di Bernie che risuonavano come un grido di battaglia. La compostezza del viaggiatore si ruppe, i suoi occhi si allargarono quando il rumore dei veicoli della polizia in avvicinamento invase la radura.
“Polizia!” gridò una voce, squarciando la tensione. Si scatenò il caos, mentre il viaggiatore e la sua squadra si giravano in preda al panico. Cercarono di fuggire, abbandonando le trappole e le attrezzature, ma era troppo tardi. Gli agenti si riversarono nella radura, con comandi rapidi e autorevoli.
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Nel giro di pochi istanti, il viaggiatore fu trascinato a terra, con la sua arma che si frantumava mentre gridava maledizioni nella notte. La sua squadra non se la cavò meglio, la loro fuga fu sventata dalla rapida azione della pattuglia della foresta. Jacob si sentì sollevato quando il pericolo finalmente cessò.
Bernie scattò verso Jacob, scodinzolando furiosamente. Saltò in piedi e leccò il viso di Jacob come per dire: “Ora sei al sicuro” Jacob si inginocchiò, avvolgendo le braccia intorno al cane, mentre il sollievo travolgente gli faceva venire le lacrime agli occhi. “Bravo ragazzo”, sussurrò, con la voce rotta.
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Mentre gli agenti e la pattuglia forestale iniziavano a smontare le trappole, gli orsi feriti venivano liberati con cura dalle gabbie e dalle trappole. Il cucciolo di orso bianco fu portato fuori da un ranger, il suo piccolo corpo era fragile ma vivo. Lì vicino, la madre orsa ferita zoppicava per l’ultima volta verso Jacob.
L’orsa si fermò, la sua struttura massiccia si abbassò leggermente quando i suoi occhi incontrarono quelli di Jacob. In quel momento, Jacob giurò di aver visto gratitudine – qualcosa di profondo e senza parole – prima che lei si voltasse e tornasse zoppicando a raggiungere il suo cucciolo e la sua famiglia tra gli alberi. Jacob la guardò, con il petto che si stringeva per l’emozione.
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Al mattino la notizia si era diffusa. Il coraggio di Jacob, la lealtà di Bernie e il salvataggio degli orsi erano diventati la parola d’ordine della città. Mentre portava Bernie a spasso per le strade affollate, un passante lo chiamò eroe. Jacob sorrise semplicemente e rispose: “Stavo solo seguendo la guida di un buon amico”